Una notte agitata passata a rigirarsi nel letto in attesa
dell’ora di alzarsi una volta per tutte è il prezzo minimo da pagare a una
giornata memorabile. Per questo, la difficoltà a prendere sonno e il continuo
svegliarsi quella domenica non erano particolarmente fastidiosi. Dopo anni
passati a sognare, il rinvio di dodici mesi prima e la lunga preparazione dei
mesi precedenti, finalmente il momento di affrontare in bicicletta il Passo
dello Stelvio era arrivato. Per evitare ripensamenti o la tentazione di cedere
a imprevisti, la scelta è caduta sulla partecipazione al Mapei Day, la
manifestazione agonistica aperta anche ai semplici cicloturisti desiderosi di
mettersi alla prova in cambio di poter realizzare un sogno. D’altra parte, la
prospettiva di affrontare i mitici tornanti con le strade chiuse al traffico e
in un gruppo di qualche migliaio di ciclisti offre uno stimolo di più.
In attesa del suono liberatorio della sveglia, ripassano per
la testa i momenti dell’ultima movimentata settimana. La piccola crisi di
lunedì, appena arrivato in altitudine, scoppiata proprio all’imbocco dell’ultima
salita, aveva insegnato ad affrontare con la dovuta attenzione le improvvise
correnti d’aria fredda che si possono incontrare appena scollinati da
un’altura. A sua volta, la salita di venerdì al Passo di Foscagno era tornata
utile a ritrovare l’ottimismo e la convinzione di riuscire ad arrivare ai 2.750 metri del valico
più alto d’Italia e a capire l’abbigliamento più adatto a un’arrampicata in
montagna.
Mentre dagli oblò del camper filtrano le luci del giorno,
intorno si comincia a sentire un certo movimento. Nell’area di sosta cominciano
ad affluire sempre più automezzi dai quali esce una moltitudine di persone
pronte ad affrontare la scalata.
Quando finalmente la sveglia si decide a suonare è quasi una
liberazione. Prima cosa, lo sguardo fuori per vedere il tempo. Non c’è rumore
di pioggia, ma anche eventuali nuvole di primo mattino potrebbero essere un
segnale preoccupante. Invece, il cielo segna un punto a favore: qualche cumulo
in lontananza, ma niente da apparire preoccupante e ben lontano dalla direzione
del valico.
Senza fretta, cercando di fare meno rumore possibile per non
svegliare i familiari, ma forse anche per non rompere l’incantesimo che si è
già creato o la paura di rovinare il momento tanto atteso, bisogna dare il via
ai preparativi. È il momento di fare colazione. Abbondante, ma non eccessiva;
negli ultimi tempi rispetto al passato la resistenza sugli sforzi prolungati
sembra aumentata, così non c’è più il bisogno di incamerare una quantità
esagerata di calorie. Oltre al latte con i cereali, una banana è più che
sufficiente prima del caffè.
Conclusa l’incombenza, è il momento di pensare al materiale.
Prima di tutto, un ultimo controllo al sacco da consegnare al raduno di
partenza, con i vestiti di ricambio da ritirare all’arrivo. Vista
l’opportunità, meglio andare sul sicuro e inserire, oltre a una maglietta
asciutta, pantaloni lunghi e guanti pesanti. Il giubbotto da discesa invece,
troverà posto nella tasca della maglia, casomai strada facendo la temperatura
dovesse scendere eccessivamente. In realtà, è stato tutto accuratamente pronto
dalla sera prima, ma è un modo come un altro per far passare il tempo e
cominciare ad assaporare l’emozione della giornata.
Anche la coprotagonista della giornata, la bicicletta, è già
pronta. Aspetta paziente sul portabiciclette di accompagnarmi in questa
avventura, protetta dal telo per la pioggia. Con ancora più attenzione del
solito, quasi con la paura di poterla danneggiare, la Colnago sognata fin da
bambino e compagna ideale per una tale avventura tocca terra pronta all’ultima
breve verifica, pur sapendo che è tutto a posto sin da ieri sera, compreso il
numero 2019 in
bella mostra davanti al manubrio.
Lo stesso collocato anche sulla maglia. Non quella ufficiale
della manifestazione, già di per sé un bellissimo ricordo, ma quella in
windstopper in grado di offrire maggiore protezione in caso di vento freddo.
Prima della vestizione però, una puntata veloce al raduno di partenza per
consegnare il sacco con gli indumenti. L’idea è di presentarsi alla griglia
poco prima del limite massimo, per avere il tempo di un adeguato riscaldamento.
La prima preoccupazione infatti, è l’incognita di affrontare una salita così
impegnativa con una partenza praticamente a freddo, la ragione principale delle
crisi patite in passato sulle grandi salite.
La piccola commissione riesce senza problemi,
l’organizzazione si presenta subito ai massimi livelli, così resta solo concentrarsi
per affrontare i mitici 40 tornati che dal centro di Bormio porteranno al
valico. Fatto ritorno al camper, resta ancora qualche minuto prima di
prepararsi al via. Giusto il tempo di osservare la frenesia nel frattempo
creatasi in tutto il paese, con ciclisti e podisti di tutti i tipi: dai più
esagitati smaniosi di conquistare la prima fila, ai gruppi pronti a lanciarsi
sfide e sfottò, fino ai tantissimi appassionati preoccupati più del traguardo
che del cronometro.
Finalmente, il momento di montare in sella arriva. Alla
partenza mancano ancora tre quarti d’ora, il tempo sufficiente a salutare con
calma le mie tre più appassionate tifose e cominciare a pedalare lungo le vie
periferiche del paese per sciogliere i muscoli. La temperatura appare ideale,
fresca al punto da consigliare di
presentarsi al via con il giubbotto e di conseguenza affrontare la salita senza
soffrire eccessivamente il caldo. Dopo aver girato intorno al paese per cinque
volte, arriva il momento di unirsi alla corrente dei ciclisti che dai vari
posteggi convergono verso il centro città. La via per la griglia di partenza,
l’ultima, quella dei semplici appassionati in sfida con sè stessi, è già
libera. Sono tutti fermi in gruppo, in attesa del via previsto non prima di
venti minuti. Torna quindi particolarmente utile per completare il
riscaldamento, e scaricare la tensione, il parcheggio di un supermercato prima
e quello più grande della scuola elementare dopo, proprio in prossimità del
ritrovo. Da qui, la voce dello speaker arriva flebile, quasi deformata, ma il
messaggio è chiaro: il momento della partenza si avvicina e, anche se in fondo allo
schieramento manca l’ansia della prestazione, la tensione è comunque evidente.
Dai rumori e dagli incitamenti provenienti dalla linea di
partenza appare chiaro come l’istante fatidico sia ormai prossimo. Mentre gli
agonisti sono già sulle prime rampe, noi siamo ancora in attesa di dare il
primo colpo di pedale, ma nessuno sembra avere fretta di partire. Forse, non
sono l’unico a provare qualche brivido. Non tanto la paura di non farcela,
quanto quella dell’imprevisto, quel qualche cosa di irrazionale in grado di
compromettere la giornata.
Tra un pensiero e l’altro il lungo serpentone finalmente si
mette in moto e arriva anche il nostro turno. Sfilando per le vie strette del
centro di Bormio, la voce dello speaker si avvicina, ma in realtà siamo noi ad
avvicinarsi allo striscione di partenza, tra l’incitamento di un buon numero di
persone. Già, il pubblico. Uno degli elementi finora completamente ignorati.
Difficile immaginare che qualcuno sia lì per me o di essere il destinatario di
un incitamento, eppure le voci anonime che si alzano da dietro le transenne
rendono ancora più forte il brivido lungo la schiena al momento in cui scatta
il segnale acustico del passaggio alla partenza. Il segnale che l’avventura è
iniziata.
Prima ancora del via la strada ha già iniziato a salire;
sono quaranta i tornanti da superare per arrivare al traguardo, distribuiti su
diverse serie intervallate da lunghi tratti che si arrampicano in costa e si
addentrano nella valle.
I primi tornanti arrivano dopo poche decine di metri, tra le
grida ancora forti del pubblico, anche se iniziano presto a diradarsi, come gli
scambi di battute tra le coppie e i gruppi di amici che affrontano l’avventura
insieme. Nel giro di neanche un chilometro però, lo scenario cambia
radicalmente. Quasi senza rendersene conto, la pendenza subito impegnativa
toglie le parole di bocca a quasi tutti i ciclisti. Mentre i respiri si allungano
e prendono gradualmente il sopravvento sulle parole, si fa presto a rendersi
conto di come a bordo strada non siano rimasti che gli alberi ad accompagnare tutti
noi. Dopo l’entusiasmo, le grida, lo speaker, le battute e il vociare della
partenza, ora regna il ritmo delle pedalate, il rumore delle ruote e degli
ingranaggi delle biciclette, interrotto dalle poche sillabe di chi ancora ha
voglia di scambiare battute con i vicini.
È in questo momento che ci si rende conto di trovarsi da
soli contro lo Stelvio. Anche se in mezzo a centinaia di persone, si può
contare solo sulle proprie forze, misurare le proprie energie e procedere
pensando solo a raggiungere il traguardo. Non conta chi sorpassa, chi diventa
necessario sorpassare per non perdere il ritmo, l’importante è riuscire a
ingranare, far girare i pedali il più possibile ma senza consumare più energie
del dovuto.
La prima serie di tornanti all’uscita da Bormio è già
lontana. Il fondovalle inizia ad allargarsi e ad apparire più lontano. Dopo il
bivio di Bagni Vecchi, il primo cambio di pendenza, il punto dove lasciare il
21 per passare al 23; il rapporto più agile e, soprattutto, il penultimo della
serie. In pratica l’ultimo, visto che il restante 26 ha più che altro un
effetto placebo: la certezza di poter contare su un ulteriore rapporto in caso
di emergenza fa bene al morale.
Intanto la strada sale, l’assenza del traffico rende
l’atmosfera ancora più suggestiva e gli scambi di parole sono ormai ridotti al
minimo. La salita prosegue in costa, si addentra nella Valle del Braulio
fino a chiudere alle spalle la vista
sulla Valtellina. I primi chilometri sono alle spalle, il ritmo è buono e tutto
sembra andare per il meglio, ma la vetta è ancora lontana, molto lontana per azzardare
previsioni.
La valle intorno si stringe, le cime delle montagne sono
nascoste dietro ripide pareti di roccia; inutile trovare conforto nel panorama
alpino. Per adesso l’importante è tirare dritto, distrarsi cercando di capire
tra i compagni di avventura quanti possono fare almeno la mia fatica e poter
pensare che se ce la fanno loro allora l’obiettivo non è così lontano.
Dopo una serie di curve all’apparenza tutte uguali,
finalmente un primo cambio di scenario. Una breve serie di tornanti ravvicinati
offre una visione nuova del tratto di strada percorso e di quello subito
successivo. In mezzo, il primo rifornimento: un ottimo diversivo, importante
anche a non restare a secco di energie. Già da diversi minuti mi chiedo se sono
io il solo a soffrire la salita in questo modo; sembro l’unico a sentire
continuamente bisogno di prendere in mano la borraccia per bere, mentre per
tutti gli altri il segno più evidente della fatica è il respiro che
inesorabilmente si allunga.
Superati i tornanti, arriva uno dei tratti più caratteristici
dello Stelvio. In condizioni normali, la successione di gallerie non illuminate
scavate nella roccia rappresenterebbe un pericolo, ma in assenza di traffico e
grazie ai gruppi elettrogeni posizionati per l’occasione, si trasforma presto
in un ricordo unico. All’imbocco della prima galleria, lo scenario si apre
all’improvviso, con un serpentone di ciclisti all’apparenza infinito. In altre
situazioni avrei invidiato chi è avanti chilometri rispetto a me, invece ora
sono contento di dover ancora affrontare quelle rampe, di dovere ancora vivere
una parte dell’avventura.
Fino a ora tutto sembra andare per il meglio. I pedali
girano a dovere, la stanchezza resta ampiamente entro limiti sopportabili e il
clima si rivela un prezioso alleato con una temperatura ideale e senza il
temutissimo vento gelido.
È ora del secondo rifornimento. Sono già passati altri
cinque chilometri e questo significa essere praticamente a metà. L’entusiasmo
però si frena presto davanti alla cruda realtà. Prima del rifornimento vanno
superate alcune rampe e i primi tornanti della serie simbolo dello Stelvio.
Soprattutto, a smorzare i facili entusiasmi è il cartello
posto a bordo strada. La rampa in avvicinamento è il punto di massima pendenza
e il 14% bene in mostra richiama tutti alla realtà. Eppure è proprio questo il
momento decisivo. Mentre la reazione più o meno diffusa all’imbocco della rampa
è un lasciarsi andare a imprecazioni più o meno colorite, favorite dalla
ridotta lucidità accentuata dalla quota, mi sorprendo a lasciarmi sfuggire di
bocca un “figata!”. Al costo di passare per mezzo matto tra i miei accidentali
compagni del momento, è proprio per questo che son qua e ora il momento è
arrivato. Nel contempo, mentre intorno a me scorgo netta una sensazione di
difficoltà diffusa, non appena mi alzo sui pedali mi trovo a tenere un ritmo
decisamente superiore agli altri. Quasi intimorito, mi impongo di rallentare
per paura di non reggere fino alla fine, ma il tornante che segna la conclusione
del tratto più duro arriva quasi senza accorgersene. Quasi come liberato da una
zavorra, da quel momento tutto sembra girare al meglio, come un motore liberato
dalle scorie e finalmente libero di esprimersi al meglio.
Una sosta al rifornimento è indispensabile per riempire la
borraccia ormai vuota. La tentazione di mangiare anche qualcosa è forte, ma il
rischio di una digestione laboriosa è più forte e decido così di proseguire
dopo un bicchiere di coca cola e niente più. Anche perché lo sguardo è ormai da
qualche tempo fisso su quella serie di tornanti. In altre situazioni farebbero
paura, farebbero sorgere timori, ma ormai i dubbi sembrano svaniti e il
sentimento dominante è il rispetto per la fortuna di trovarsi al cospetto di un
simile spettacolo e poterne fare parte per qualche minuto.
Forse potrei andare più veloce, ma l’andatura sembra già
superiore al gruppo nel quale mi trovo e la prudenza non è mai troppa.
L’altitudine infatti comincia a farsi sentire, i duemila metri si avvicinano e,
fattore non trascurabile, lo spettacolo va assaporato metro per metro.
La fine dei tornanti e il relativo scollinamento segna la
fine di uno dei tratti più duri. Il successivo falsopiano con pendenza minima è
il benvenuto per riprendere fiato, ma inutile nascondere anche l’insorgere di
un minimo dispiacere: una parte importante dell’avventura è superata.
I dubbi sul traguardo sono sempre meno. La vallata
silenziosa si apre in uno spettacolo che vale qualsiasi sforzo e per alcuni
chilometri ora la pendenza è quasi impercettibile. Tanti ne approfittano per
aumentare il ritmo e puntare al tempo. Resistere alla tentazione in effetti non
è facile, ma non è ancora finita e un minimo errore di valutazione ora potrebbe
costare caro. Negli ultimi tre chilometri infatti, la strada riprende a salire
bruscamente e a quel punto la stanchezza e la carenza di ossigeno possono
accentuare anche la più piccola crisi. È in questo tratto che per la prima
volta compaiono alla vista gli edifici del valico. A conti fatti, mancano
ancora circa quattrocento metri di dislivello. Tanti per potersi rilassare. Poter
guardare il traguardo ancora a tale distanza, con il rischio di non vederlo mai
avvicinare potrebbe essere un pericolo, ma ancora una volta l’emozione più
forte è lo spettacolo di vederlo lì. Il traguardo tanto atteso finalmente
davanti agli occhi. In genere è preferibile vedere la vetta solo alle ultime
curve, quando l’entusiasmo è in grado di coprire qualsiasi carenza; proprio per
questa ragione, una situazione del genere potrebbe rivelarsi invece deleteria.
In questo caso però, è più che gradita: significa poter gustare l’ascesa fino
in fondo.
Il cartello dei meno tre richiama duramente alla realtà. La
ricreazione è finita e la strada riprende a salire come all’inizio. Ora però,
nelle gambe ci sono già diciassette chilometri e oltre mille metri di
dislivello.
Le mie sensazioni erano giuste. Una buona parte di quelli
che avevano approfittato del pianoro per accelerare ora si avvicinano sempre di
più. Qualcuno è in apparente difficoltà, tanti non si curano più di chi gli sta
intorno e non manca chi vedendosi sorpassato pensa di dover raccogliere una
sfida e abbozza una reazione. Ma niente in questo momento mi distrae. Lo
Stelvio è là. Da alcune decine di minuti è nel mio mirino e tutto il resto è
relativo. Unica concessione al ritmo costante delle pedalate, i rifornimenti
indispensabili a raccogliere l’acqua necessaria a non accusare crolli improvvisi.
Ancora una volta, come da qualche mese a questa parte, mi
meraviglio di come senta sempre meno l’esigenza di mangiare durante sforzi di
questo genere. Fino a qualche anno fa dovevo quasi prevedere pasti completi al
mattino prima di partire e assicurarmi di avere adeguare scorte per la
giornata. Ora invece il cibo durante la pedalata è quasi un fastidio e arrivo a
sopportare anche quattro ore di montagna con una colazione poco più abbondante
del normale.
Non è però il momento di chiedersi perché, perché la vetta è
veramente vicino. A due chilometri, l’altura finale si avvicina. Il paesaggio
comincia ad aprirsi con il valico verso la Svizzera. Respirare
comincia a essere veramente impegnativo; ascoltando le gambe la tentazione di
aumentare il ritmo è forte, ma subito il fiato lungo fa cambiare idea e
convince facilmente a non sprecare tutto.
Chilometri dopo chilometri, il gruppo si è allungato, la
compagnia è sempre più rada, ma aumentano a bordo strada i podisti partiti
mezzora prima. Se mai mi sono sentito mezzo matto ad affrontare lo Stelvio in
bicicletta, vedere tanta gente che l’ha fatto a piedi mi convince di essere in
più che buona compagnia.
Un chilometro o poco più. Riprendono i tornati, i depositi
di neve sono sempre più frequenti e il movimento di persone si accentua. Oltre
a chi è già sulla strada del ritorno, spettatori in discesa alla ricerca dei
propri conoscenti o semplici escursionisti incuriositi dall’insolito
spettacolo.
Un chilometro. È ufficiale, stando al cartello. Lo Stelvio è
lì. La voce dello speaker arriva sempre più chiara. Le case sono praticamente a
grandezza naturale. Tutti segnali che ormai è fatta.
Il traguardo è vicino, eppure non è solo gioia quella che
inizia ad affiorare, Come sempre accade quando si realizza, un sogno smette di
essere tale e presto sarà necessario trovarne un altro per non cadere vittima
della malinconia.
Ma ora è il momento di godere appieno questo momento.
Ottocento metri; un tornante, una rampa, un altro tornante. Il fiato lungo, la
voglia di arrivare, la fatica. Settecento metri, poi seicento. Dietro una
curva, i fotografi pronti a immortalare questo momento magico. Scattano
centinaia di foto a perfetti sconosciuti eppure in questo momento sono tra le
persone più desiderate: grazie a loro il ricordo vivrà a lungo, con tutta
probabilità appeso a una parete.
Cinquecento metri. L’arrivo, anche se non visibile, è
chiaramente percepibile dalla folla delle migliaia di persone presenti in
quota.
Quattrocento metri. A bordo strada le macchine di chi è
salito la sera prima per accogliere i propri cari o gli amici di turno. Dopo
tanto silenzio, qualsiasi voce, qualsiasi sguardo è un’iniezione di energia.
Trecento metri. Sono poche le curve restanti. Non importa
più quante e dove, perché la testa è ormai da tempo lassù.
Duecento metri. La prossimità del valico aumenta l’intensità
del vento. Inizia a fare freddo, ma ormai è l’ultimo dei problemi; l’unica
ragione per fermarsi è perdere il controllo di sé stessi.
Cento metri, è il momento di lasciarsi andare. Tutto
sparisce: la stanchezza, il freddo, la fatica, il respiro affannato. Poche
decine di metri separano da uno striscione. Si vede, si avvicina ogni secondo
sempre più. Un sogno sta svanendo, sta diventando realtà. Un realtà così bella
che quando tagli il traguardo quasi non te ne accorgi neppure.
Mentre l’inerzia porta in un angolo quasi a cercare un luogo
appartato per godersi questo momento unico, per riprendere fiato, mi ritrovo al
collo una medaglia ricordo. Non ho idea di come ci sia arrivata, ma chiunque
sia stato avrà la mia riconoscenza in eterno. Volendo rendere più solenne il
momento con un tocco sentimentale, si potrebbe pensare a quel groppo in gola
come segnale di una grande emozione. Se poi è solo una serie di respiri
profondi alla ricerca dell’equilibrio, va bene lo stesso.
Sin da quando ho ripreso ad andare seriamente in bicicletta
lo Stelvio era un sogno. Ora il sogno si è avverato, ma l’avventura non finita, è solo l’inizio ufficiale di una
nuova. Quale non si sa, questo è il momento di pensare al presente di godere
fino all’ultimo istante la magia di essere al cospetto di Sua Maestà.