lunedì 10 marzo 2014

Un sogno al cospetto di sua maestà


Una notte agitata passata a rigirarsi nel letto in attesa dell’ora di alzarsi una volta per tutte è il prezzo minimo da pagare a una giornata memorabile. Per questo, la difficoltà a prendere sonno e il continuo svegliarsi quella domenica non erano particolarmente fastidiosi. Dopo anni passati a sognare, il rinvio di dodici mesi prima e la lunga preparazione dei mesi precedenti, finalmente il momento di affrontare in bicicletta il Passo dello Stelvio era arrivato. Per evitare ripensamenti o la tentazione di cedere a imprevisti, la scelta è caduta sulla partecipazione al Mapei Day, la manifestazione agonistica aperta anche ai semplici cicloturisti desiderosi di mettersi alla prova in cambio di poter realizzare un sogno. D’altra parte, la prospettiva di affrontare i mitici tornanti con le strade chiuse al traffico e in un gruppo di qualche migliaio di ciclisti offre uno stimolo di più.
In attesa del suono liberatorio della sveglia, ripassano per la testa i momenti dell’ultima movimentata settimana. La piccola crisi di lunedì, appena arrivato in altitudine, scoppiata proprio all’imbocco dell’ultima salita, aveva insegnato ad affrontare con la dovuta attenzione le improvvise correnti d’aria fredda che si possono incontrare appena scollinati da un’altura. A sua volta, la salita di venerdì al Passo di Foscagno era tornata utile a ritrovare l’ottimismo e la convinzione di riuscire ad arrivare ai 2.750 metri del valico più alto d’Italia e a capire l’abbigliamento più adatto a un’arrampicata in montagna.
Mentre dagli oblò del camper filtrano le luci del giorno, intorno si comincia a sentire un certo movimento. Nell’area di sosta cominciano ad affluire sempre più automezzi dai quali esce una moltitudine di persone pronte ad affrontare la scalata.
Quando finalmente la sveglia si decide a suonare è quasi una liberazione. Prima cosa, lo sguardo fuori per vedere il tempo. Non c’è rumore di pioggia, ma anche eventuali nuvole di primo mattino potrebbero essere un segnale preoccupante. Invece, il cielo segna un punto a favore: qualche cumulo in lontananza, ma niente da apparire preoccupante e ben lontano dalla direzione del valico.
Senza fretta, cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare i familiari, ma forse anche per non rompere l’incantesimo che si è già creato o la paura di rovinare il momento tanto atteso, bisogna dare il via ai preparativi. È il momento di fare colazione. Abbondante, ma non eccessiva; negli ultimi tempi rispetto al passato la resistenza sugli sforzi prolungati sembra aumentata, così non c’è più il bisogno di incamerare una quantità esagerata di calorie. Oltre al latte con i cereali, una banana è più che sufficiente prima del caffè.
Conclusa l’incombenza, è il momento di pensare al materiale. Prima di tutto, un ultimo controllo al sacco da consegnare al raduno di partenza, con i vestiti di ricambio da ritirare all’arrivo. Vista l’opportunità, meglio andare sul sicuro e inserire, oltre a una maglietta asciutta, pantaloni lunghi e guanti pesanti. Il giubbotto da discesa invece, troverà posto nella tasca della maglia, casomai strada facendo la temperatura dovesse scendere eccessivamente. In realtà, è stato tutto accuratamente pronto dalla sera prima, ma è un modo come un altro per far passare il tempo e cominciare ad assaporare l’emozione della giornata.
Anche la coprotagonista della giornata, la bicicletta, è già pronta. Aspetta paziente sul portabiciclette di accompagnarmi in questa avventura, protetta dal telo per la pioggia. Con ancora più attenzione del solito, quasi con la paura di poterla danneggiare, la Colnago sognata fin da bambino e compagna ideale per una tale avventura tocca terra pronta all’ultima breve verifica, pur sapendo che è tutto a posto sin da ieri sera, compreso il numero 2019 in bella mostra davanti al manubrio.
Lo stesso collocato anche sulla maglia. Non quella ufficiale della manifestazione, già di per sé un bellissimo ricordo, ma quella in windstopper in grado di offrire maggiore protezione in caso di vento freddo. Prima della vestizione però, una puntata veloce al raduno di partenza per consegnare il sacco con gli indumenti. L’idea è di presentarsi alla griglia poco prima del limite massimo, per avere il tempo di un adeguato riscaldamento. La prima preoccupazione infatti, è l’incognita di affrontare una salita così impegnativa con una partenza praticamente a freddo, la ragione principale delle crisi patite in passato sulle grandi salite.
La piccola commissione riesce senza problemi, l’organizzazione si presenta subito ai massimi livelli, così resta solo concentrarsi per affrontare i mitici 40 tornati che dal centro di Bormio porteranno al valico. Fatto ritorno al camper, resta ancora qualche minuto prima di prepararsi al via. Giusto il tempo di osservare la frenesia nel frattempo creatasi in tutto il paese, con ciclisti e podisti di tutti i tipi: dai più esagitati smaniosi di conquistare la prima fila, ai gruppi pronti a lanciarsi sfide e sfottò, fino ai tantissimi appassionati preoccupati più del traguardo che del cronometro.
Finalmente, il momento di montare in sella arriva. Alla partenza mancano ancora tre quarti d’ora, il tempo sufficiente a salutare con calma le mie tre più appassionate tifose e cominciare a pedalare lungo le vie periferiche del paese per sciogliere i muscoli. La temperatura appare ideale, fresca al punto  da consigliare di presentarsi al via con il giubbotto e di conseguenza affrontare la salita senza soffrire eccessivamente il caldo. Dopo aver girato intorno al paese per cinque volte, arriva il momento di unirsi alla corrente dei ciclisti che dai vari posteggi convergono verso il centro città. La via per la griglia di partenza, l’ultima, quella dei semplici appassionati in sfida con sè stessi, è già libera. Sono tutti fermi in gruppo, in attesa del via previsto non prima di venti minuti. Torna quindi particolarmente utile per completare il riscaldamento, e scaricare la tensione, il parcheggio di un supermercato prima e quello più grande della scuola elementare dopo, proprio in prossimità del ritrovo. Da qui, la voce dello speaker arriva flebile, quasi deformata, ma il messaggio è chiaro: il momento della partenza si avvicina e, anche se in fondo allo schieramento manca l’ansia della prestazione, la tensione è comunque evidente.
Dai rumori e dagli incitamenti provenienti dalla linea di partenza appare chiaro come l’istante fatidico sia ormai prossimo. Mentre gli agonisti sono già sulle prime rampe, noi siamo ancora in attesa di dare il primo colpo di pedale, ma nessuno sembra avere fretta di partire. Forse, non sono l’unico a provare qualche brivido. Non tanto la paura di non farcela, quanto quella dell’imprevisto, quel qualche cosa di irrazionale in grado di compromettere la giornata.
Tra un pensiero e l’altro il lungo serpentone finalmente si mette in moto e arriva anche il nostro turno. Sfilando per le vie strette del centro di Bormio, la voce dello speaker si avvicina, ma in realtà siamo noi ad avvicinarsi allo striscione di partenza, tra l’incitamento di un buon numero di persone. Già, il pubblico. Uno degli elementi finora completamente ignorati. Difficile immaginare che qualcuno sia lì per me o di essere il destinatario di un incitamento, eppure le voci anonime che si alzano da dietro le transenne rendono ancora più forte il brivido lungo la schiena al momento in cui scatta il segnale acustico del passaggio alla partenza. Il segnale che l’avventura è iniziata.
Prima ancora del via la strada ha già iniziato a salire; sono quaranta i tornanti da superare per arrivare al traguardo, distribuiti su diverse serie intervallate da lunghi tratti che si arrampicano in costa e si addentrano nella valle.
I primi tornanti arrivano dopo poche decine di metri, tra le grida ancora forti del pubblico, anche se iniziano presto a diradarsi, come gli scambi di battute tra le coppie e i gruppi di amici che affrontano l’avventura insieme. Nel giro di neanche un chilometro però, lo scenario cambia radicalmente. Quasi senza rendersene conto, la pendenza subito impegnativa toglie le parole di bocca a quasi tutti i ciclisti. Mentre i respiri si allungano e prendono gradualmente il sopravvento sulle parole, si fa presto a rendersi conto di come a bordo strada non siano rimasti che gli alberi ad accompagnare tutti noi. Dopo l’entusiasmo, le grida, lo speaker, le battute e il vociare della partenza, ora regna il ritmo delle pedalate, il rumore delle ruote e degli ingranaggi delle biciclette, interrotto dalle poche sillabe di chi ancora ha voglia di scambiare battute con i vicini.  
È in questo momento che ci si rende conto di trovarsi da soli contro lo Stelvio. Anche se in mezzo a centinaia di persone, si può contare solo sulle proprie forze, misurare le proprie energie e procedere pensando solo a raggiungere il traguardo. Non conta chi sorpassa, chi diventa necessario sorpassare per non perdere il ritmo, l’importante è riuscire a ingranare, far girare i pedali il più possibile ma senza consumare più energie del dovuto.
La prima serie di tornanti all’uscita da Bormio è già lontana. Il fondovalle inizia ad allargarsi e ad apparire più lontano. Dopo il bivio di Bagni Vecchi, il primo cambio di pendenza, il punto dove lasciare il 21 per passare al 23; il rapporto più agile e, soprattutto, il penultimo della serie. In pratica l’ultimo, visto che il restante 26 ha più che altro un effetto placebo: la certezza di poter contare su un ulteriore rapporto in caso di emergenza fa bene al morale.
Intanto la strada sale, l’assenza del traffico rende l’atmosfera ancora più suggestiva e gli scambi di parole sono ormai ridotti al minimo. La salita prosegue in costa, si addentra nella Valle del Braulio fino  a chiudere alle spalle la vista sulla Valtellina. I primi chilometri sono alle spalle, il ritmo è buono e tutto sembra andare per il meglio, ma la vetta è ancora lontana, molto lontana per azzardare previsioni.
La valle intorno si stringe, le cime delle montagne sono nascoste dietro ripide pareti di roccia; inutile trovare conforto nel panorama alpino. Per adesso l’importante è tirare dritto, distrarsi cercando di capire tra i compagni di avventura quanti possono fare almeno la mia fatica e poter pensare che se ce la fanno loro allora l’obiettivo non è così lontano.
Dopo una serie di curve all’apparenza tutte uguali, finalmente un primo cambio di scenario. Una breve serie di tornanti ravvicinati offre una visione nuova del tratto di strada percorso e di quello subito successivo. In mezzo, il primo rifornimento: un ottimo diversivo, importante anche a non restare a secco di energie. Già da diversi minuti mi chiedo se sono io il solo a soffrire la salita in questo modo; sembro l’unico a sentire continuamente bisogno di prendere in mano la borraccia per bere, mentre per tutti gli altri il segno più evidente della fatica è il respiro che inesorabilmente si allunga.
Superati i tornanti, arriva uno dei tratti più caratteristici dello Stelvio. In condizioni normali, la successione di gallerie non illuminate scavate nella roccia rappresenterebbe un pericolo, ma in assenza di traffico e grazie ai gruppi elettrogeni posizionati per l’occasione, si trasforma presto in un ricordo unico. All’imbocco della prima galleria, lo scenario si apre all’improvviso, con un serpentone di ciclisti all’apparenza infinito. In altre situazioni avrei invidiato chi è avanti chilometri rispetto a me, invece ora sono contento di dover ancora affrontare quelle rampe, di dovere ancora vivere una parte dell’avventura.
Fino a ora tutto sembra andare per il meglio. I pedali girano a dovere, la stanchezza resta ampiamente entro limiti sopportabili e il clima si rivela un prezioso alleato con una temperatura ideale e senza il temutissimo vento gelido.
È ora del secondo rifornimento. Sono già passati altri cinque chilometri e questo significa essere praticamente a metà. L’entusiasmo però si frena presto davanti alla cruda realtà. Prima del rifornimento vanno superate alcune rampe e i primi tornanti della serie simbolo dello Stelvio.
Soprattutto, a smorzare i facili entusiasmi è il cartello posto a bordo strada. La rampa in avvicinamento è il punto di massima pendenza e il 14% bene in mostra richiama tutti alla realtà. Eppure è proprio questo il momento decisivo. Mentre la reazione più o meno diffusa all’imbocco della rampa è un lasciarsi andare a imprecazioni più o meno colorite, favorite dalla ridotta lucidità accentuata dalla quota, mi sorprendo a lasciarmi sfuggire di bocca un “figata!”. Al costo di passare per mezzo matto tra i miei accidentali compagni del momento, è proprio per questo che son qua e ora il momento è arrivato. Nel contempo, mentre intorno a me scorgo netta una sensazione di difficoltà diffusa, non appena mi alzo sui pedali mi trovo a tenere un ritmo decisamente superiore agli altri. Quasi intimorito, mi impongo di rallentare per paura di non reggere fino alla fine, ma il tornante che segna la conclusione del tratto più duro arriva quasi senza accorgersene. Quasi come liberato da una zavorra, da quel momento tutto sembra girare al meglio, come un motore liberato dalle scorie e finalmente libero di esprimersi al meglio.
Una sosta al rifornimento è indispensabile per riempire la borraccia ormai vuota. La tentazione di mangiare anche qualcosa è forte, ma il rischio di una digestione laboriosa è più forte e decido così di proseguire dopo un bicchiere di coca cola e niente più. Anche perché lo sguardo è ormai da qualche tempo fisso su quella serie di tornanti. In altre situazioni farebbero paura, farebbero sorgere timori, ma ormai i dubbi sembrano svaniti e il sentimento dominante è il rispetto per la fortuna di trovarsi al cospetto di un simile spettacolo e poterne fare parte per qualche minuto.
Forse potrei andare più veloce, ma l’andatura sembra già superiore al gruppo nel quale mi trovo e la prudenza non è mai troppa. L’altitudine infatti comincia a farsi sentire, i duemila metri si avvicinano e, fattore non trascurabile, lo spettacolo va assaporato metro per metro.
La fine dei tornanti e il relativo scollinamento segna la fine di uno dei tratti più duri. Il successivo falsopiano con pendenza minima è il benvenuto per riprendere fiato, ma inutile nascondere anche l’insorgere di un minimo dispiacere: una parte importante dell’avventura è superata.
I dubbi sul traguardo sono sempre meno. La vallata silenziosa si apre in uno spettacolo che vale qualsiasi sforzo e per alcuni chilometri ora la pendenza è quasi impercettibile. Tanti ne approfittano per aumentare il ritmo e puntare al tempo. Resistere alla tentazione in effetti non è facile, ma non è ancora finita e un minimo errore di valutazione ora potrebbe costare caro. Negli ultimi tre chilometri infatti, la strada riprende a salire bruscamente e a quel punto la stanchezza e la carenza di ossigeno possono accentuare anche la più piccola crisi. È in questo tratto che per la prima volta compaiono alla vista gli edifici del valico. A conti fatti, mancano ancora circa quattrocento metri di dislivello. Tanti per potersi rilassare. Poter guardare il traguardo ancora a tale distanza, con il rischio di non vederlo mai avvicinare potrebbe essere un pericolo, ma ancora una volta l’emozione più forte è lo spettacolo di vederlo lì. Il traguardo tanto atteso finalmente davanti agli occhi. In genere è preferibile vedere la vetta solo alle ultime curve, quando l’entusiasmo è in grado di coprire qualsiasi carenza; proprio per questa ragione, una situazione del genere potrebbe rivelarsi invece deleteria. In questo caso però, è più che gradita: significa poter gustare l’ascesa fino in fondo.
Il cartello dei meno tre richiama duramente alla realtà. La ricreazione è finita e la strada riprende a salire come all’inizio. Ora però, nelle gambe ci sono già diciassette chilometri e oltre mille metri di dislivello.
Le mie sensazioni erano giuste. Una buona parte di quelli che avevano approfittato del pianoro per accelerare ora si avvicinano sempre di più. Qualcuno è in apparente difficoltà, tanti non si curano più di chi gli sta intorno e non manca chi vedendosi sorpassato pensa di dover raccogliere una sfida e abbozza una reazione. Ma niente in questo momento mi distrae. Lo Stelvio è là. Da alcune decine di minuti è nel mio mirino e tutto il resto è relativo. Unica concessione al ritmo costante delle pedalate, i rifornimenti indispensabili a raccogliere l’acqua necessaria a non accusare crolli improvvisi.
Ancora una volta, come da qualche mese a questa parte, mi meraviglio di come senta sempre meno l’esigenza di mangiare durante sforzi di questo genere. Fino a qualche anno fa dovevo quasi prevedere pasti completi al mattino prima di partire e assicurarmi di avere adeguare scorte per la giornata. Ora invece il cibo durante la pedalata è quasi un fastidio e arrivo a sopportare anche quattro ore di montagna con una colazione poco più abbondante del normale.
Non è però il momento di chiedersi perché, perché la vetta è veramente vicino. A due chilometri, l’altura finale si avvicina. Il paesaggio comincia ad aprirsi con il valico verso la Svizzera. Respirare comincia a essere veramente impegnativo; ascoltando le gambe la tentazione di aumentare il ritmo è forte, ma subito il fiato lungo fa cambiare idea e convince facilmente a non sprecare tutto.
Chilometri dopo chilometri, il gruppo si è allungato, la compagnia è sempre più rada, ma aumentano a bordo strada i podisti partiti mezzora prima. Se mai mi sono sentito mezzo matto ad affrontare lo Stelvio in bicicletta, vedere tanta gente che l’ha fatto a piedi mi convince di essere in più che buona compagnia.
Un chilometro o poco più. Riprendono i tornati, i depositi di neve sono sempre più frequenti e il movimento di persone si accentua. Oltre a chi è già sulla strada del ritorno, spettatori in discesa alla ricerca dei propri conoscenti o semplici escursionisti incuriositi dall’insolito spettacolo.
Un chilometro. È ufficiale, stando al cartello. Lo Stelvio è lì. La voce dello speaker arriva sempre più chiara. Le case sono praticamente a grandezza naturale. Tutti segnali che ormai è fatta.
Il traguardo è vicino, eppure non è solo gioia quella che inizia ad affiorare, Come sempre accade quando si realizza, un sogno smette di essere tale e presto sarà necessario trovarne un altro per non cadere vittima della malinconia.
Ma ora è il momento di godere appieno questo momento. Ottocento metri; un tornante, una rampa, un altro tornante. Il fiato lungo, la voglia di arrivare, la fatica. Settecento metri, poi seicento. Dietro una curva, i fotografi pronti a immortalare questo momento magico. Scattano centinaia di foto a perfetti sconosciuti eppure in questo momento sono tra le persone più desiderate: grazie a loro il ricordo vivrà a lungo, con tutta probabilità appeso a una parete.
Cinquecento metri. L’arrivo, anche se non visibile, è chiaramente percepibile dalla folla delle migliaia di persone presenti in quota.
Quattrocento metri. A bordo strada le macchine di chi è salito la sera prima per accogliere i propri cari o gli amici di turno. Dopo tanto silenzio, qualsiasi voce, qualsiasi sguardo è un’iniezione di energia.
Trecento metri. Sono poche le curve restanti. Non importa più quante e dove, perché la testa è ormai da tempo lassù.
Duecento metri. La prossimità del valico aumenta l’intensità del vento. Inizia a fare freddo, ma ormai è l’ultimo dei problemi; l’unica ragione per fermarsi è perdere il controllo di sé stessi.
Cento metri, è il momento di lasciarsi andare. Tutto sparisce: la stanchezza, il freddo, la fatica, il respiro affannato. Poche decine di metri separano da uno striscione. Si vede, si avvicina ogni secondo sempre più. Un sogno sta svanendo, sta diventando realtà. Un realtà così bella che quando tagli il traguardo quasi non te ne accorgi neppure.
Mentre l’inerzia porta in un angolo quasi a cercare un luogo appartato per godersi questo momento unico, per riprendere fiato, mi ritrovo al collo una medaglia ricordo. Non ho idea di come ci sia arrivata, ma chiunque sia stato avrà la mia riconoscenza in eterno. Volendo rendere più solenne il momento con un tocco sentimentale, si potrebbe pensare a quel groppo in gola come segnale di una grande emozione. Se poi è solo una serie di respiri profondi alla ricerca dell’equilibrio, va bene lo stesso.

Sin da quando ho ripreso ad andare seriamente in bicicletta lo Stelvio era un sogno. Ora il sogno si è avverato, ma l’avventura non  finita, è solo l’inizio ufficiale di una nuova. Quale non si sa, questo è il momento di pensare al presente di godere fino all’ultimo istante la magia di essere al cospetto di Sua Maestà.